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Il fiore del male
di Renato Vallanzasca e Carlo Bonini
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Renato Vallanzasca, il famoso bandito milanese degli anni Settanta, ci racconta la sua vita. È una storia di furti, rapine, rapimenti, omicidi. Una storia che gli è costata una condanna a quattro ergastoli e 260 anni.

La prima cosa che capiamo è che il male è banale. Perché fare il male è semplice, costa poca fatica: con un piccolo movimento di un dito la pistola spara e una vita si spegne. Un gesto banale, appunto.

Scegliere il male è sempre un atto di volontà. Vallanzasca lo ammette: "Certo, non provenivo da una famiglia ricca. Ma non è questo il motivo per cui cominciai. Ho cominciato e basta". Una libera scelta, quindi. Insomma: chi dà la colpa del male che ha fatto all'ambiente in cui è cresciuto si sta giustificando. Quando diciamo di sì al male, la colpa più grande è solo nostra.

Vallanzasca ha sempre attirato la simpatia di molti. Negli anni Settanta, riceveva in carcere fino a 800 lettere alla settimana di gente che lo ammirava. Com'è possibile? Perché un criminale era ed è così popolare? I motivi sono due.

Il primo motivo è che Vallanzasca è un uomo simpatico. A cominciare dalla sua faccia, con quello sguardo furbo, il sorriso pieno di malizia, gli occhi azzurri, i baffi da attore degli anni Trenta. Inoltre, Vallanzasca è spiritoso: la sua compagnia è piacevole e i suoi racconti divertono, coinvolgono, appassionano.

Il secondo motivo per cui Vallanzasca è simpatico a molti è che ha sempre rifiutato le regole della società. Vallanzasca è uno che le regole se le è fatte da solo. Noi gente «normale», invece, subiamo il peso dei doveri sociali. Rinunciamo cioè ai nostri istinti in nome dell'ordine sociale. Accettiamo così d'essere bravi lavoratori (anche se lavorare ci pesa), bravi coniugi (anche se vorremmo tradire), bravi cittadini (anche se odiamo pagare le tasse) eccetera. Vallanzasca ha invece rifiutato i doveri imposti dalla società: un tipo di libertà che piacerebbe a più d'uno. Per questo Vallanzasca è simpatico a molti e perfino un eroe per qualcuno. Anche se la libertà di Vallanzasca è una libertà irresponsabile. Qualcosa che rende l'uomo una bestia.

Vallanzasca aveva un codice d'onore. Per esempio, il bandito si vanta d'essere sempre stato leale. Non solo con i complici, ma anche con la polizia. "Non ho mai sparato per primo e non ho mai sparato nella schiena" dice. Parole che, a una prima lettura, potrebbero rendere più leggero il nostro giudizio sul bandito. In realtà, se riflettiamo, le sue parole sono una contraddizione che ci irrita. Come può parlare di codice d'onore uno che ha rubato, rapinato, rapito, ammazzato? Anche Adolf Hitler non beveva, non fumava e amava così tanto gli animali da non mangiare carne...

La storia di Vallanzasca ci mostra com'è facile sprecare le qualità che abbiamo. Vallanzasca era un uomo con molte qualità, prima fra tutte l'intelligenza. Ma ha scelto di usarle in modo sbagliato. Avrebbe potuto essere un uomo utile agli altri e alla società. Per esempio, avrebbe potuto diventare un bravo medico o un bravo ingegnere. Ma ha scelto di sprecare tutto.

L'unico esempio positivo che Vallanzasca ci dà è il fatto che si prende le responsabilità di tutto ciò che ha fatto. Vallanzasca non si nasconde e non fa la vittima della società: sa d'aver fatto disastri e di doverli pagare. Per questo, anche se è pentito del suo passato ("La mia intera esistenza è sbagliata e a tratti bestiale"), non chiede il nostro perdono. Sa che i suoi reati sono così gravi che chiedere d'essere perdonato sarebbe un'offesa. Soprattutto verso i parenti delle sue vittime.

Nel 2006, Vallanzasca ha chiesto al Presidente della Repubblica di alleggerire la sua pena. Vallanzasca vorrebbe essere libero di giorno e tornare in carcere solo la notte, per dormire. Si potrebbe ascoltarlo: trent'anni di carcere cambiano qualsiasi uomo.

     
 
 
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